L’acciaio si scopre sostenibile
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La siderurgia italiana conferma gli investimenti ambientali, indirizzati a interventi per la protezione dell’aria, per la gestione delle acque reflue e per la gestione dei rifiuti. Il budget negli ultimi anni è stato di 72,3 milioni, il 3,2% degli 1,1 miliardi complessivamente spesi dal settore per investimenti in beni materiali, nonostante le difficoltà di una congiuntura che sta cambiando i connotati del mercati, come confermano i dati sul mix produttivo, sul rapporto tra import ed export, sul numero degli occupati (in calo gli operai, l’incidenza degli impiegati sul totale sale in 3 anni dal 22% al 24%).
Lo evidenzia il rapporto di sostenibilità di Federacciai, presentato a Milano durante l’assemblea dei soci, riuniti in forma privata. «Non ci sto, come imprenditore, a passare come brutto, sporco e cattivo – spiega il presidente, Antonio Gozzi -. I numeri confermano che non è solo una difesa d’ufficio: dal 1995 a oggi l’Italia siderurgica ha ridotto del 25% i consumi energetici, del 25% quelli idrici, di oltre il 20% la produzione di rifiuti.
Quota dei settori utilizzatori sul consumo apparente prodotti siderurgici primari.
Senza considerare le qualità dell’acciaio, materiale riciclabile al 100% e in via permanente». Tra gli esempi virtuosi di economia circolare applicata nel settore, il rapporto cita i casi di Ferriere Nord (minimizzazione dei rifiuti destinati a smaltimento), del gruppo Feralpi (recupero dei refrattari esausti delle siviere, utilizzo della scoria nera in prodotti da costruzione, calore ceduto ad acqua destinata all’allevamento ittico), di Dalmine (valorizzazione della scoria nera come prodotto da costruzione, recupero dell’acido borico da acque industriali), di Marcegaglia (recupero dello zinco dalla soluzione di processo), di Ori Martin (recupero di calore dai fumi per teleriscaldamento e generazione elettrica), di Cogne (recupero di calore da cascami termici), di Aso (recupero di acido borico da acque industriali).
I campi di applicazione dell’industria siderurgia, che nel 2016 ha generato in Italia 1,2 miliardi di valore aggiunto, sono numerosi: oggi è utilizzato al 30% dei casi in edilizia, nel 22,8% per produrre tubi, per il 14% nell’automotive e per il 16,8% nella meccanica. Le caratteristiche lo rendono primo interprete dell’economia circolare, in particolare in Italia, dove la produzione da forno elettrico è preponderante rispetto a quello a ciclo integrale. L’Italia è al primo posto in Ue per il riciclo del rottame ferroso con 19 milioni di tonnellate rifuse annualmente.
Le emissioni di co2 (considerando solo gli impianti inclusi nel sistema Ets) sono state nel 2016 pari a 11,3 milioni di tonnellate: sono il 7% delle emissioni industriali italiane coperte dal sistema Ets, ma meno del 3% delle emissioni nazionali di gas serra. «I margini di miglioramento si assottigliano – dice il rapporto -: non si è lontani dal limite tecnologico di processo». Il maggiore ricorso a più efficienti sistemi di raffreddamento ha fatto registrare negli ultimi anni significative riduzioni anche dei consumi di acqua, mentre per quanto riguarda i rifiuti, un’analisi su un campione di aziende evidenzia come il 58% dei rifiuti generati da produzione e il 95% di quelli generati da trasformazione è avviato a operazioni di recupero.
Sul piano sociale, emerge nel 2016 una nuova flessione del numero di operai attivi, scesi dai 26.639 del 2015 a 25.915. Si tratta, secondo Federacciai, di una diminuzione indotta dalle crisi aziendali e solo in seconda istanza da variazioni contrattuali. Il numero di impiegati invece si conferma in aumento, per un dato complessivo di 34.226 occupati (l’1,9% in meno rispetto all’anno precedente). Nonostante la difficile congiuntura, le ore lavorate hanno registrato invece la prima variazione positiva dal 2011, le ore di cassa integrazione sono diminuite del 44,8%.
«Se oggi il sistema paese può affrontare adeguatamente attrezzato le nuove sfide dell’Industria 4.0, che rispondono all’esigenza di adattare i processi produttivi ai principi dell’economia circolare – aggiunge Gozzi -, lo si deve in buona misura a quella industria manifatturiera che anche nei momenti di peggiore congiuntura ha sostenuto la nostra economia, permettendo all’Italia di prepararsi al futuro.
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