«Fiere strategiche per lo sviluppo dell’economia»

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By cuneo Ottobre 19, 2017 09:01

«Fiere strategiche per lo sviluppo dell’economia»

Le fiere hanno un’importanza politica. Questo è uno dei pochi settori in cui l’Europa non ha rivali e i quartieri esercitano un ruolo importante di volàno per l’economia. E le aziende europee, a loro volta, hanno bisogno di manifestazioni fieristiche forti come strumento di mercato. Bisogna passare dalla logica della competizione a quella della cooperazione a livello politico e industriale, per creare cluster multinazionali in grado di competere su scala globale».

Questo il messaggio lanciato da Romano Prodi nella lectio che ha chiuso ieri a Bologna la due giorni dell’assemblea generale di Emeca, l’associazione europea dei 22 principali centri fieristici europei (tra cui Milano, Bologna, Verona e Rimini), che ha scelto il capoluogo emiliano per celebrare i 25 anni di attività.

Partita come community per fare networking tra i primi 13 membri fondatori, Emeca è via via cresciuta e oggi, con 22 sedi che ospitano e organizzano 1.900 fiere nel mondo (1.500 in Europa), con 420mila espositori e 41,6 milioni di visitatori registrati nel 2016, si trova ad affrontare la sfida di diventare voce unica di un comparto leader planetario ma finora fuori dal radar delle politiche e dei finanziamenti di Bruxelles.

Eppure 28 delle 33 più grandi aziende fieristiche del mondo (l’85%) hanno sede in Europa e il fatturato generato dalle imprese espositive ospitate si stima superi il trilione di euro di fatturato. Così come sono cresciuti del 3% i fatturati dei 22 quartieri nell’ultimo anno e per sostenere lo sviluppo futuro sono in programma investimenti per 3,5 miliardi di euro tra rinnovo e ampliamento di strutture e manifestazioni, internazionalizzazione e tecnologie 4.0. Tra quest’anno e il 2018 si parla di circa 20 nuove fiere organizzate dai soci Emeca, metà di esse al di fuori dell’Europa, in particolare in Asia sudorientale e in America latina.

È la digitalizzazione di quartieri ed eventi, tema al centro della due giorni bolognese, la prima frontiera su cui Emeca sta passando da ruolo di salotto buono a quello di promotore di un lavoro di squadra per omogeneizzare gli standard e condividere i costi enormi per infrastrutturare e cablare qualcosa come «40 milioni di metri quadrati di spazi, l’equivalente di 5.714 campi da calcio»,sottolinea il presidente di Emeca e dg di Palexpo di Ginevra, Claude Membrez dando le dimensioni dei 22 quartieri.

«Tanto più alta è la digitalizzazione e maggiore la velocità dei rapporti online, tanto più è sentita dagli operatori la necessità di vivere esperienze di persona: per questo motivo le fiere continuano a crescere, il nostro quartiere come quelli dei partner in Emeca. Ma le tecnologie digitali possono solo supportare non sostituire la stretta di mano», afferma Giampiero Calzolari, presidente di BolognaFiere. Wi-fi, segnaletica digitale e wayfinding, servizi di e-ticketing, nuove soluzioni di ingresso, sistemi di security, gestione del traffico e della logistica, matchmaking: il futuro delle fiere passa da piattaforme e app digitali in grado di guidare espositori e visitatori tra 100 mila mq di stand che oggi si visitano in media in non più di due giorni.

Se sul digitale Emeca sta facendo sistema, assai più difficile è farlo sul versante internazionalizzazione. «All’estero dobbiamo pensare a una formula di concorrenza cooperativa – spiega Giorgio Contini, direttore internazionale di BolognaFiere e vicedirettore Emeca – perché la tendenza che va consolidandosi è l’affermarsi di una fiera europea leader per settore, come Norimberga nel biologico con Biofach o noi nella cosmesi con Cosmoprof. Le altre piazze europee su queste merceologie arrivano necessariamente al traino, ma la sinergia beneficia sia il big sia il follower».

Così come è impensabile che una fiera italiana – la più grande, Milano, ha 700 persone in organico, Bologna la metà – possa competere oltre i confini europei con strutture proprie, quando un colosso come Francoforte ha da solo in Cina 600 dipendenti diretti (su 2.400 complessivi, la metà extra Ue). «L’estero va presidiato, è una via obbligata per promuovere tanto il made in Italy quanto il made in Europe e per spingere l’incoming nelle nostre fiere qui e valorizzare quindi le nostre imprese. Ma da soli possiamo fare poco», è il messaggio che arriva da BolognaFiere. Che ancora non è riuscita a fare sistema lungo la via Emilia con Parma e Rimini (aggregazione di cui si discute da oltre un decennio) ma sta progettando l’apertura di una subsidiary negli Usa assieme ai vicini di casa.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/

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