Dall’idea al mercato in tempo reale. Così rivive il prototipo
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Buona la prima. In realtà non proprio, perché il dato reale è 1,2. Il che, tuttavia, rispetto ai quasi tre prototipi previsti in passato, dà il senso dei vantaggi che Miroglio Fashion sta sperimentando grazie al mondo virtuale. Progresso per nulla banale, tenendo conto che per il colosso della moda femminile piemontese, (4.500 addetti, oltre 500 milioni di ricavi), i costi dei prototipi possono arrivare anche al 5% del totale, come accade del resto nell’intero settore.
L’inserimento delle tecniche digitali nella fase iniziale della produzione è uno dei capitoli più nascosti di Industria 4.0, forse meno “glamour” rispetto alle meraviglie rese possibili da internet delle cose o dalla manutenzione predittiva, con impianti connessi in tempo reale a migliaia di chilometri di distanza. Eppure proprio qui, nell’ideazione dei prodotti, sono immediatamente visibili i benefici possibili grazie alla tecnologia. Una riduzione drastica di tempi e costi unita ad un miglioramento qualitativo che si traduce in maggiore competitività. L’uso di modellistica virtuale non è certo una novità ma ora l’accelerazione è evidente: grazie anzitutto a sviluppi software che consentono possibilità di simulazione e “realismo” impensabili in precedenza.
«In passato prima di avere il via libera dallo stilista occorrevano quasi tre passaggi “fisici” – spiega il supply chain director di Miroglio Fashion Stefano Mulasso – mentre ora il modellista grazie ai sistemi 3D può eliminare al computer gran parte dei problemi segnalati, mandando in produzione un prototipo già quasi perfetto, spesso accettato al primo tentativo». Da febbraio il gruppo ha adottato questa tecnologia per un singolo brand, con risultati eclatanti: tempi di realizzazione dei prototipi dimezzati da 30 a 15 giorni, costi ridotti del 40%. «In prospettiva – aggiunge il manager – credo che tutti i nostri modellisti dovranno poter maneggiare questi strumenti, perché i vantaggi sono davvero eclatanti». Miroglio non è un caso isolato, con sperimentazioni che toccano anche altre fasce di mercato. Piacenza Cashmere, ad esempio, ha appena lavorato con una griffe internazionale sviluppando in modo virtuale una nuova sciarpa. Con un prototipo fisico realizzato solo dopo il via libera del cliente alla nuova variante, approvata sulla base di un rendering al computer. «Questo riduce drasticamente i tempi di sviluppo dei nuovi tessuti – spiega il responsabile della ricerca Alessandro Canepa – ma altri vantaggi sono evidenti nella riduzione delle varianti colore da produrre per la prototipazione fisica, che si traduce in minori scarti e maggiore efficienza. La tecnologia c’è ma ora è il mercato a doversi evolvere: alcuni clienti preferiscono ancora il tradizionale prototipo fisico. Penso però che i “pionieri” tecnologici faranno da apripista a tutti gli altri».
L’altra evoluzione evidente è quella della stampa 3D, tecnologia nota da anni ma ora utilizzabile in modo più esteso, grazie alla maggiore diffusione di modellistica tridimensionale in progettazione ma anche alla disponibilità di macchinari e polveri più performanti e duttili.
Trend di cui beneficia ad esempio la filiera dei fornitori automotive, a cui i costruttori da sempre chiedono “tutto e subito”.
La stampa 3D è un modo per contingentare i tempi di processo, come dimostra l’esperienza di Adler, multinazionale campana della componentistica (1,4 miliardi di ricavi con 13mila addetti e 70 siti produttivi), che già da anni ha imboccato questa strada. Oggi i tempi di realizzazione dei prototipi per il gruppo si sono ridotti del 70%, con nuove applicazioni che riguardano non soltanto i prodotti ma anche gli stessi stampi per realizzarli. All’interno del gruppo vi sono già 4 impianti di stampa 3D, investimenti ingenti che proseguiranno. «Perché la produzione additiva – spiega il presidente Paolo Scudieri – è una vera e propria panacea per chi ha esigenze “aggressive” di time to market. Grazie alla tecnologia riusciamo a dare da un lato riscontri immediati al cliente, spingendo inoltre l’innovazione verso progettazioni sempre più ardite. Possiamo realizzare anche stampi duraturi e precisi, inimmaginabili fino a qualche anno fa. I risultati? Se prendiamo il settore corse, ad esempio, è chiaro che qui le commesse si vincono grazie alla velocità. Ma anche i costruttori tradizionali, in aggiunta ai nuovi modelli, praticano ormai continui restyling sempre più pesanti. Chi non è rapido nel rispondere alle richieste soccombe».
Anche la brianzola Dell’Orto, oltre 80 milioni di ricavi e 380 addetti in Italia, sfrutta appieno le nuove possibilità offerte dalle stampanti 3D. In passato utilizzate per produrre oggetti realistici solo negli ingombri, per valutare l’impatto all’interno del vano motore. Oggi, grazie alle polveri metalliche di nuova generazione, sfruttate per realizzare prototipi funzionanti. «In questo modo – spiega il vicepresidente Andrea Dell’Orto – i tempi di realizzazione si riducono da sei a una sola settimana e questo spesso è decisivo. Come nella commessa appena vinta con General Motors, un ordine da 20 milioni nell’arco di 5 anni per una valvola di ricircolo dei gas di scarico. Tra le richieste del costruttore c’era anche quella di avere in pochi giorni un prototipo funzionante. Che noi abbiamo fornito».
La compressione dei tempi è una priorità anche nell’area della meccanizzazione agricola, come dimostra l’esperienza di Maschio Gaspardo, 320 milioni di ricavi e 1800 addetti, in grado di realizzare con le nuove tecnologie parti chiave di una nuova seminatrice ad alta velocità.
«Dalla progettazione Cad al pezzo finito da testare sul campo – spiega il direttore ricerca Andrea Ruffin – in passato sarebbe servito un anno:a noi ora sono bastati sei mesi. E i vantaggi sono evidenti anche dal lato dei costi: rifare uno stampo per rimediare ai difetti iniziali può comportare un esborso di 2-300 mila euro, che in questo modo evitiamo». La manifattura additiva sperimentata è però solo un primo passo, con il gruppo veneto impegnato a testare insieme ad un partner francese un’applicazione nell’ambito della realtà aumentata: traducendo una “normale” schermata 3D di computer in un pezzo che sembra di poter toccare con mano, entrando in una camera virtuale e indossando un visore ad-hoc.
Anche se la richiesta attuale è ancora configurabile come una nicchia, la domanda prospettica di polveri metalliche per manifattura additiva spinge le aziende ad investire anche in questo settore. È il caso della lecchese Fomas,370 milioni di ricavi nella realizzazione di componenti meccaniche per Oil&Gas ed energia, un campione della forgiatura che decide di sparigliare il mazzo entrando direttamente nel mercato “nemico” (i pezzi finiti di Fomas sono risultato di “sottrazione”),investendo otto milioni di euro per avviare in Brianza un nuovo sito produttivo. Con prospettive di crescita rilevante, dato che partendo da zero il business plan prevede di arrivare entro due anni a 20 milioni di ricavi grazie alle polveri metalliche. Gli esempi di virate hi-tech nella progettazione dunque non mancano, anche se il quadro italiano è ancora a macchia di leopardo, con una diffusione delle tecnologie solo parziale. «Se guardiamo alla modellazione tridimensionale – spiega il co-direttore dell’osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano Sergio Terzi – credo che ormai sia presente nell’80% delle aziende. Prendendo però in considerazione le tecniche più sofisticate, come analisi fluidodinamiche o a elementi finiti, il discorso cambia e gli utilizzatori in Italia sono più l’eccezione che non la regola. I nostri ingegneri meccanici, tutti con perfetta conoscenza di queste metodiche, spesso faticano ad applicarle nelle Pmi. Ma la direzione è chiara: una volta superata la diffidenza iniziale diverranno anche questi strumenti standard. Non a caso nel modello tedesco si parte proprio da qui: prima di “connettere” la fabbrica occorre digitalizzare la fase di engineering».
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Fonte: http://www.ilsole24ore.com/
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